Classici Disney – Topolino nella Valle Infernale

Iuvenes dum sumus

Cose meravigliose accadono mentre siamo giovani. Per esempio, accade di scoprire Topolino.

Quando il Natale del 1970 porta con sé il grande volume cartonato Io, Topolino, in realtà il Venerabile Topo è una “vecchia” conoscenza, per quanto possa essere vecchia la conoscenza di un bambino. Le pagine festose di quel volumone che appare gigantesco, e che nelle mani di un bimbo lo è davvero, schiudono tuttavia la porta di un personaggio alquanto diverso da quello già noto. Topolino nella Valle Infernale, che era una storia sin lì inedita in Italia, risaliva a quarant’anni prima ed era appena il secondo arco narrativo a fumetti di un personaggio che all’epoca era stato perfino più giovane di quel suo lettore di diversi decenni posteriore. Nel gennaio del 1930 Walt Disney e Ub Iwerks avevano trasposto anche in una striscia per i quotidiani il personaggio a cui avevano dato vita su pellicola un paio d’anni addietro, ed entro poche settimane ne avrebbero lasciato le redini ad altri, in primo luogo a colui che farà del Topolino delle strisce giornaliere a fumetti un personaggio che è nella storia del ‘900: Floyd Gottfredson. È proprio nel corso di questo racconto che avviene il passaggio di consegne ai testi tra Disney e Gottfredson oltre che il suo esordio da disegnatore (qui i complicati crediti della storia, a cui misero mano in molti: https://inducks.org/story.php?c=YM+002:).

La storia edita su Io, Topolino è un po’ tagliuzzata, così che successive edizioni permetteranno sicuramente un miglior apprezzamento del racconto anche in sede di traduzione; però il senso di stupore e meraviglia, e la gioia provati nella lettura da parte di un bambino di sei anni sono irripetibili, perché, come detto all’inizio, fu allora che accadde di scoprire Topolino. Tutto era diverso, infatti, ignoto alla limitata esperienza del lettore di pochi anni del Topolino settimanale allora mondadoriano. Era diverso il tempo narrativo, dettato dalla struttura della strip giornaliera, che lasciava di frequente mano libera alla pura esigenza di costruzione della gag, mutuata dai ritmi intensissimi dei cartoon coevi di cui rinveniamo chiari segni nelle forme grafiche dei personaggi o nell’irruzione in scena di animali tipicamente cartooneschi. Vi era nondimeno l’esigenza di coniugare la microtrama delle singole strisce con la macrotrama della storia. Diverso il protagonista, le cui caratteristiche e il cui universo narrativo erano ancora da definire (basti pensare che Pippo era ancora di là da venire, e Clarabella, Orazio e Gambadilegno esordiscono proprio qui nei fumetti); erano ben diversi graficamente alcuni personaggi fondamentali del mondo di questo buffo Topolino in calzoncini corti rossi: non poco bizzarro appariva quel ferino Pietro Gambadilegno primigenio che rendeva giustizia al suo nome.

Era materiale ancora grezzo, e proprio con questa storia Gottfredson comincia a sbozzare i personaggi appena messigli in mano da Disney e Iwerks, partendo da un Topolino sotto molti aspetti picaresco, e precisamente ispirato alla versione aggiornata del picaro, lo Charlot di Chaplin. Dal picaro, questo Mickey mutuava la vocazione alla libertà e al vagabondaggio, innestata sulla solidità del mito della Frontiera e delle sue magnifiche sorti e progressive, e del cui ottimismo il carattere è senz’altro debitore. Gottfredson asseconderà queste basi: lo vediamo nell’entusiasmo fanciullesco, perfino sconsiderato, con cui il Topo si getta in ogni impresa trascinando con sé una Minnie non meno piena di adolescenziale esuberanza; negli sbalzi d’umore improvvisi come nelle improvvise, a tratti surreali diversioni dalla trama nel bel mezzo dell’azione; nella galleria di personaggi dell’America rurale e western che incontriamo e nel paesaggio rurale e western che è l’ambientazione del racconto, ma anche l’ambiente in cui Minnie e Topolino vivono. Pochi mesi addietro, la sua prima vignetta aveva mostrato un Topolino perso nei suoi sogni d’avventura mentre si godeva la vita spaparanzato su un covone di fieno in una fattoria: la creatura di Iwerks e Disney è un perdigiorno rusticano sempre in movimento e sempre pronto a partire per una qualsiasi impresa. Un ossimoro vivente che traboccava di vitalità e autenticità esistenziale. L’America della Frontiera, l’America del capitalismo d’avventura e di rapina si affaccia non solo nell’ambientazione western o nella figura del banditesco avvocato Lupo che cerca di truffare Minnie e far fuori il Topo, ma ancor più e meglio viene alla luce nella lunga sequenza di cui è protagonista un vero e proprio simbolo totemico dell’Ovest americano, quel treno che con le sue rotaie materialmente sventrò la vastità delle praterie aprendo la strada alla civiltà e, con essa, allo sfruttamento indiscriminato di uomini, animali e risorse; Gottfredson vi dà luogo a un gioco a rimpiattino che diventa indiavolato scontro senza quartiere tra Topolino, che non vuole pagare il biglietto, e il capotreno, e nel quale si inseriranno poi Gambadilegno e Lupo, che è l’autentica animaccia nera della nostra storia: una situazione classica, endemica negli anni della Depressione e che qui, fatte le debite proporzioni, pare anticipare la feroce faida tra Ernest Borgnine e Lee Marvin in L’imperatore del Nord di Robert Aldrich di oltre quarant’anni più tardo.

Tutto questo è naturalmente funzionale alla struttura della strip umoristica che deve reggere un ritmo sostenuto oppure inventare di continuo soluzioni che lascino il lettore nell’attesa e nel desiderio della striscia successiva: vengono dunque portati in scena dei buffi animali antropomorfizzati che ancora non sono diventati quegli esseri umani con lontane vestigia animali nei quali sono stati trasformati oggi i personaggi Disney; personaggi più simili e vicini a un più antico immaginario favolistico e che paiono talvolta agire e vivere ai confini tra umano e animale (possiamo vederlo nella golosità con la quale Topolino e Minnie fanno man bassa di formaggio nella cantina della villa dello zio di Minnie), apparendo in perfetta armonia con animali che mostrano comportamenti più umani di quanto forse avvenga oggi, basti vedere lo sketch magistrale del pianto in sincrono di Topolino e della mucca sulle rotaie del treno.

Disney aveva dato inizio alla storia appoggiandosi alla trama di un suo precedente cartoon e ricavandone un incipit ricco di suggestioni goticheggianti, macabre perfino e rese in modo magnifico dai disegnatori – la sequenza in cui Gambadilegno e Lupo torturano Minnie facendole credere di star impiccando Topolino sarebbe oggi del tutto impensabile, mentre in futuro Gottfredson oserà anche oltre sul tema della morte. Nel prendere le mosse da questa imbastitura dello stesso Disney, Floyd Gottfredson proseguirà quindi sviluppando la prima vera e propria storia del Topolino a fumetti, iniziando a costruire sulla scarna ossatura ereditata dai creatori di Mickey quelle che diventeranno le strutture portanti del suo Topolino (suo e degli autori che lo affiancheranno): un carattere che diventa sempre più attivo e non solo reattivo, il protagonista di racconti scorrevoli ma mai banali che attingeranno ai più disparati generi, dal giallo alla fantascienza, dalla spy-story all’avventuroso puro, dal noir alla parodia, raggiungendo spesse volte risultati narrativamente ragguardevoli. Il Topolino villereccio degli esordi ne emergerà come il campione della positività a stelle e strisce, ma, nelle storie ad ampio respiro di Gottfredson&co., non sarà mai un difetto in grazia delle grandi doti affabulatorie e umoristiche degli autori, del respiro romanzesco che seppero conferire alle storie, della loro padronanza dei temi e tempi narrativi, e dell’accurata gestione dei personaggi e delle loro caratteristiche.

Gottfredson mostra di padroneggiare da subito tutto questo, e, nella sua dispersività di base di ispirazioni e situazioni, Topolino nella Valle Infernale trova un punto di equilibrio proprio nella figura di raccordo di questo Mickey che, pur essendo ancora il giovane contadinotto dell’esordio mostra in nuce le sue potenzialità. La storia resta sostanzialmente una sarabanda anarcoide di gag e sketch, una slapstick comedy frammista a sequenze che flirtano con atmosfere horror, suggestioni noir e inserti avventurosi; e, sebbene talvolta un po’ lasca in qualche stacco narrativo tra una strip e l’altra, mantiene una cadenza sostenuta e si fa leggere ancora oggi come un vero gioiellino d’azione, di umorismo, e di giallo. Quel quid in più che ne fa un racconto memorabile è l’avvisaglia del Topolino del futuro che il lettore percepisce senza potersi realmente rendere conto di ciò che sta percependo e ancora non è avvenuto.

Vi sono racconti, libri, storie a fumetti o film che vanno letti, o visti, mentre si è giovani: preferibilmente molto giovani; non perché si tratti di storie troppo ingenue per un adulto o un vecchio, ma perché solo mentre si è giovani se ne può comprendere appieno la meraviglia.

Autore