Lo Sgiuramento: un fesso di nome Tex
Da molti anni a questa parte le analisi degli albi che si pubblicano sotto l’etichetta “Tex” sono meglio operate da una duplice angolazione: quella, appunto, del personaggio a suo tempo creato da Giovanni Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini; e quella di una qualsivoglia storia a fumetti.
Dal primo punto di vista, naturalmente, è importante, se non dirimente o fondamentale a seconda dei casi, il rispetto di un nucleo essenziale di caratteristiche venute stratificandosi e assestandosi nel tempo a opera di GLB, e che trovarono una sostanziale stabilizzazione in quel corpus narrativo di storie che, a spanne, copre i racconti usciti sulla serie regolare di Tex, numero più numero meno, dall’80 al 240: il periodo d’oro del personaggio. In questa ottica, si osserva che nell’arco narrativo noto come Il Giuramento, pubblicato sui numeri 103-106 della serie regolare, l’autore e creatore di Tex, Giovanni Luigi Bonelli, stabilisce che il peggior assassino materiale della moglie di Tex è morto. Il raffronto tra il trattamento che Bonelli fa riservare da parte di Tex al personaggio di Sherman, e appunto il personaggio di Higgins, chiarisce senza ombra di dubbio che quest’ultimo, il colpevole in assoluto più abietto dell’atto genocida nei confronti dei Navajos, e della morte della sposa di Tex e madre di Kit, è da considerare terra per i vermi dal momento cheTex lo abbandona nel deserto. A chiosa ultimativa, Bonelli pose poi quella scena che è scolpita nella memoria dei suoi lettori: la lancia che si spezza perché la vendetta di Tex è compiuta e tutti i responsabili della morte di Lilyth e dei Navajos sono passati tra i più. Il Giuramento è un unicum nella produzione bonelliana, per la delicatezza dei sentimenti del personaggio, mai così colpito nella sfera dei suoi affetti, e per la ferocia e spietatezza di Tex nel porre in atto la sua vendetta, le quali scaturiscono dalla profondità inaudita della ferita subita. Aspetti e sentimenti che Bonelli raccontò con mirabile asciuttezza, ricavandone un racconto straordinariamente emozionante: il racconto della missione più importante mai compiuta dall’uomo Tex.
La cavalcata del destino propone un Higgins resuscitato; si badi bene: non scampato alla morte, ma, letteralmente resuscitato per intervento divino, in questo caso intervento di un nuovo autore che sovrascrive quanto era stato stabilito a suo tempo. Tex non è infallibile, Giovanni Luigi Bonelli non lo ha mai mostrato tale, tuttavia il personaggio di Tex appartiene all’archetipo dell’eroe tutto d’un pezzo, Tex può sbagliare e anche contraddirsi, ma non può essere avventato sulla pelle degli altri e non può mostrarsi privo di giudizio, o addirittura uno sventato. La resurrezione di Higgins ci mostra un Tex esattamente così: un Tex che, lasciando in vita l’individuo che portò le coperte infette al villaggio causando la strage dei Navajos e la morte di sua moglie, la madre di suo figlio Kit, ha mancato al compito più importante di tutta la sua vita. Un fesso di nome Tex, insomma, incapace di farsi giustizia. Per un personaggio che, nonostante la sua prima storia ce lo mostrasse come un fuorilegge, rappresenta il portatore di giustizia per antonomasia, non c’è male davvero.
Mauro Boselli va operando da anni una sostanziale riscrittura del personaggio, sia attraverso un allentamento delle sue caratteristiche più eroiche (appunto), sia attraverso un vero e proprio diluvio di storie sul suo passato (basti vedere la collana dedicata al Tex giovane) che sono andate a smantellare gli scarni “miti” che GLB pose alle radici di Tex, e che erano tutto quanto fosse necessario sapere di un personaggio le cui storie sono ambientate in un continuo presente astorico, senza bisogno di una continuity interna né di agganci con la realtà storica: la prossima storia di Tex era sempre ambientata nel futuro di quella appena trascorsa, salvo selezionatissime eccezioni; adesso è quasi il contrario.
Rispetto a quanto visto sin qui, questa storia segna un ulteriore punto di svolta, con il supporto di Frediani al soggetto, poiché si va a riscrivere un racconto che, come detto, era un unicum vero e proprio e si può ben dire che rappresentasse un mito fondativo di Tex, probabilmente il più importante.
Non bastasse il Tex che ha mancato al compito più importante della sua vita, vediamo qui un Tex che, scoperto che l’assassino di sua moglie è vivo e ha ripetuto, per propria colpa, il suo crimine, non si dispera né si butta sulle tracce del criminale ma discetta di cibo e trasporti con i pards e l’amico Parker, spaparanzati nel comodo vagone ferroviario di quest’ultimo (senza risparmiarci neppure una scenetta, protagonista il segretario di Ely Parker e argomento i tempi di arrivo a destinazione, che pare una citazione della verdoniana telefonata di Furio Zoccano all’ACI). L’intermezzo comico proseguirà fino alla stivalata di Kit a un Carson dormiente e russante; un Carson in tutto e per tutto nizziano nel corso della storia. Del furore “sacro” del Tex di Giovanni Luigi Bonelli non resta nulla.
E a ben vedere, Tex mancherà al compito più importante della sua vita anche questa volta, dal momento che non sarà lui a spacciare Higgins ma quest’ultimo a suicidarsi, dopo allucinazioni nelle quali, non si capisce perché, ha veduto il volto di Lilyth. Infine, la conclusione dell’albo non è neppure riservata a questa scena che, pur rappresentando un ulteriore fallimento di Tex dovrebbe essere la scena madre dell’albo, ma alla vendetta di Jack Danuwoa, l’agente Pinkerton Cherokee, sul senatore Kurtzmann. A chiudere il racconto sono dunque due personaggi che non dicono nulla al lettore, due personaggi del tutto laterali all’evento del lutto di Tex: se questa è una storia celebrativa chissà come sarebbe una storia offensiva.

Nell’ottica comune a qualsiasi altra storia a fumetti, La cavalcata del destino non si discosta dagli ultimi anni di produzione boselliana: scrittura prolissa, dialoghi pomposi, personaggi che si parlano addosso, buchi di sceneggiatura. Due esempi macroscopici di questi ultimi: Tex che lascia che il latore di un messaggio di avvertimento per i suoi avversari li raggiunga indisturbato, e Higgins che scoperto che Tex è sulle sue tracce fugge sì, ma a metà, perdendo più tempo possibile perché così poi Tex possa raggiungerlo per la scena supposta madre. E l’errore più macroscopico è proprio questo, un errore visto frequentemente nelle storie di Pasquale Ruju: aver costruito il racconto a ritroso, a partire dalla scena del suicidio di Higgins, per ottenere la quale si è sacrificato tutto: coerenza e logica del racconto, e rispetto della storia del personaggio.
Da tutto ciò sortisce una storia fredda, apatica, dove in mancanza di emozioni genuine, sommerse dalla farraginosità narrativa e dall’assenza di Tex dalla centralità degli eventi, si evoca a ogni piè sospinto il volto di Lilyth nell’ennesimo fan service.
Come già accadde nella storia di Claudio Nizzi che vide il ritorno di Mefisto, anche qui la consolazione è rappresentata dal lavoro grafico di Claudio Villa che, a onta della stanchezza che traspare sempre più dalle sue copertine, non ultima quella del presente albo, ha davvero fornito un saggio esemplare della sua arte. Scorrere le tavole dimentichi della storia, ora come allora, riconcilia con la lettura di Tex, anche se una certa rabbia per lo spreco della bellezza di quelle tavole è inevitabile.
Per il lettore storico di Tex, alla luce di quel che viene a rappresentare quest’albo rispetto all’interpretazione autentica fornita una volta per tutte a suo tempo da Bonelli padre, prende poi sempre più concretezza un terzo angolo visuale delle storie odierne di Tex: la loro non appartenenza all’universo narrativo del personaggio. Fantasie.