Una rêverie, forse un sogno. Più probabilmente fibre o filacci di memorie slegate che tentano di riannodarsi, di ritrovare un filo coerente. Night bus è un viaggio appunto notturno, nell’ombra, nei recessi bui dello spirito e della memoria dove la luce sembra non penetrare o non penetrare più, e se per ventura trova uno spiraglio attraverso il quale passare si muove errabonda come il lume di una torcia che si posa sugli oggetti rivelandone porzioni da cui è difficile, talvolta impossibile, ricostruire il tutto.
Il viaggio dell’autobus notturno, che accade di compiere all’anonima viaggiatrice, forse è il filo ritorto, frastagliato, interrotto e ripreso, dei ricordi, della memoria di nonna; o forse muove dalle emozioni che si innescano al ricordo di una persona amata che non c’è più, e si mescolano con la memoria che abbiamo di quella persona e dei tempi ormai lontani della nostra vita – lontani nel ricordo se non davvero nel tempo. È un viaggio interiore che parte senza conoscere una meta certa, si arresta, riparte, si perde; quindi improvvisamente mette a fuoco i particolari per poi tornare a dileguarli in un indistinto tra fantasia e reminiscenza.
Parlare di poesia e delicatezza del racconto sminuisce l’arte narrativa di Zuo Ma, che sicuramente usa un registro di poetica leggerezza, ma che sotto la superficie apparentemente fragile e serica della sua trama nasconde strumenti che affondano in aree sensibili della nostra anima. La memoria è ciò che definisce, serba e tramanda la nostra identità attraverso le età della nostra vita: quanto di questo patrimonio, quanto di questo essere di ciascuno di noi è ricordo reale, ricordo ricostruito, ricordo idealizzato, ricordo fantasticato? Il viaggio dell’autobus notturno suggerisce discretamente tutto questo senza mai esplicitarlo, con quella leggerezza apparente che nasconde la forte sollecitazione emotiva del racconto, che in effetti la schermisce quel tanto che serve per mantenere nell’immaginazione del lettore la parvenza di esperienza onirica, di rêverie.
Il naturale predominio del nero nelle vignette e nelle tavole non si fa mai prevaricazione totale di quelle aree dove la memoria – il bianco – trova evidentemente il modo di far luce, individuando dei confini talvolta incerti eppure fondamentali: la notte è scura, ma nella notte vi sono fonti di luce, e se esse non possono sormontare l’oscurità tuttavia non vi si arrendono. Night bus dà l’impressione di un incubo di David B. che si stempera in una dimensione di sogno priva dei risvolti drammatici, nevrotici dell’artista francese: il sogno di Zuo Ma non elude e non esclude riflessioni acerbe né ricordi dolorosi, ma li ricompone da una prospettiva distanziata, permettendone una pacificata introiezione.
Le tavole di Night bus fluiscono rapide alla lettura, come appunto i flash di un sogno; e come certi sogni sembrano riavvolgersi e ripartire, le sue tavole invitano di continuo a tornare indietro, cercare un dettaglio che sembrava essere sfuggito, tornare a soffermarsi su un’immagine o una frase, per poi perdersi di nuovo in avanti. Proprio come sogni del dormiveglia, forse come i ricordi di nonna che scolorano man mano.